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PISA

Pisa, nota in tutto il mondo per la sua torre, straordinario monumento che esalta la quadrilogia di piazza del Duomo, vanta una storia millenaria che vede il suo maggiore splendore all'epoca delle Repubbliche Marinare. È uno scrigno di tesori artistici le cui chiese romaniche e gotiche, le piazze e i palazzi esaltano i quartieri tracciati dai Lungarni e dalle antiche strade. Importante sede universitaria ha mantenuto ad oggi un primato grazie alle numerose facoltà e alla Scuola Normale Superiore sita nella Piazza dei Cavalieri. Chi visita Pisa scoprirà non solo arte, cultura e storia, ma anche ambienti naturali dove il parco di Migliarino-San Rossore, il Litorale e il Monte Pisano, costruiscono un palcoscenico di particolare suggestione.

L'antica tradizione marinara della Repubblica Pisana rivive dal 1956, ogni 4 anni nella Regata Storica che vede le imbarcazioni delle quattro antiche repubbliche (Pisa, Venezia, Genova ed Amalfi) sfidarsi sull'Arno.

Ma la città offre altre bellezze: il Battistero che si erge di fronte alla facciata del Duomo e, sulla medesima piazza, detta "dei Miracoli", si trova il Camposanto Monumentale: lungo 130 metri. Si affaccia sulla piazza con 43 arcate cieche. A destra del Camposanto si erge la Cattedrale, capolavoro assoluto dell'architettura romanico-pisana, costruito a partire dal 1063. Un enorme edificio interamente ricoperto di marmo. Ed ecco la notissima Torre pendente, alta circa 56 metri.

Di forma rotondeggiante, Piazza dei Cavalieri, nel medioevo fu centro civile e politico di Pisa. Circondano la piazza lo splendido palazzo della Scuola Normale Superiore, la torre del Conte Ugolino di memoria dantesca e la chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri.

 

Dante e Pisa:

Comune ghibellino della Toscana, le sue vicende politiche, sociali e culturali sono strettamente legate alla storia di Firenze, e in qualche modo alla vita stessa di Dante. 

Pisa compare nella Commedia in virtù, soprattutto, del celebre episodio di Ugolino della Gherardesca e dei suoi figli e nipoti, la cui tragica morte strappa al poeta una violentissima invettiva contro la città cui dà l'epiteto di novella Tebe (v. 89), e gli fa invocare una specie di cataclisma naturale, con isole che si muovono verso la foce dell'Arno a provocare una terribile ecatombe: "muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì ch'elli annieghi in te ogne persona!" (vv. 82-84). I Pisani vengono anche giudicati "volpi sì piene di froda, / che non temono ingegno che le occupi "(Pg., XIV 53-54).

Della città, del suo porto, dei suoi palazzi, delle sue vie, delle sue splendide chiese Dante non ci dice molto, salvo un cenno alla torre della Muda dove fu rinchiuso il conte Ugolino con i suoi. Nessuna traccia si ha, del resto, nel poema e nelle opere minori di un soggiorno dantesco a Pisa, anche se è difficile escluderlo. Molto probabilmente il poeta si trovò là al seguito di Enrico VII nel 1312: questa tesi trova un'indiretta conferma in un passo petrarchesco. Secondo alcuni storici proprio a Pisa scrisse un'opera fondamentale da un punto di vista politico e culturale, il De Monarchia. Dei personaggi di primo piano implicati nelle vicende interne della città Dante ricorda, oltre a Ugolino, all'arcivescovo Ruggieri, ai Gualandi, ai Sismondi, ai Lanfranchi, anche Ugolino Visconti, il giudice Nin gentil (Pg VIII 53) signore del giudicato sardo di Gallura e associato, per qualche tempo, al conte Ugolino nel governo di Pisa. L'amicizia affettuosa che il poeta rivela nei riguardi di Nino fa pensare che tra loro fosse intercorsa una conoscenza non superficiale. Dalla morte del poeta (1321) alla prima metà del Quattrocento, Pisa è stata, insieme con Bologna e poche altre città, un centro importantissimo per il culto e lo studio di Dante.

 

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Poscia che fummo al quarto dì venuti,

Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,

dicendo: "Padre mio, ché non mi aiuti?".

 

Quivi morì; e come tu mi vedi,

vid’io cascar li tre ad uno ad uno

tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,

 

già cieco, a brancolar sovra ciascuno,

e due dì li chiamai, poi che fur morti.

Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno».

(If., canto XXXIII)

 

Ahi Pisa, vituperio de le genti

del bel paese là dove ’l sì suona,

poi che i vicini a te punir son lenti,

 

muovasi la Capraia e la Gorgona,

e faccian siepe ad Arno in su la foce,

sì ch’elli annieghi in te ogne persona!

(If., canto XXXIII)

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